Ho aspettato per scrivere un pezzo sulla morte di Robin Williams, per pudore di affrontare qualcosa di profondamente intimo della vita di un uomo. Provo sempre un certo disagio nel confrontarmi con il dolore altrui, quasi avessi paura di calpestarlo. Poi se chi muore era un attore famoso, bravo, geniale si sprecano parole su parole che banalizzano spesso gli eventi. Così ho lasciato sedimentare la notizia e ho preferito far raffreddare la cosa, per affrontarla cercando di non cadere nella retorica che si scatena dopo queste notizie.
Quando penso a Robin Williams, la prima cosa che mi viene in mente è un suo film che io amo molto perché lo considero uno dei film della mia vita. Si tratta di The Fisher King (La leggenda del Re pescatore), del1991 di Terry Gilliam (regista che io adoro!), con Jeff Bridges (adoro anche lui!). Tralascio di raccontarvi la trama, ma vi invito a guardarlo perché oltre ad essere una delle cose migliori che Gilliam ha prodotto insieme a Brazil, è uno dei film in cui Robin Williams da il meglio di sé in fatto di pazzia, umanità, tenerezza, coraggio, redenzione e sofferenza.
C’è una scena in questo film che credo racconti benissimo quale abisso ha attraversato Robin Williams nella sua esistenza, quante lotte ha affrontato e quante volte ha dovuto soccombere sino al giorno della sua morte. La scena è quella dell’inseguimento del Cavaliere Rosso che Perry, il personaggio interpretato da Williams, vede ogni volta che le sue angosce e paure si presentano. E’ il suo demone che lo perseguita, gli ricorda il suo dolore più grande, non gli da tregua, lo bracca, lui scappa, corre e si legge tutta la paura, il terrore nei suoi occhi! Ma è la fine di quella scena che fa riflette su cosa voglia dire avere un demone alle calcagna. Alla fine Perry viene accoltellato da un teppista che come unico scopo ha quello di picchiare i barboni (Perry è una sorta di barbone, di ultimo tra gli ultimi.) e sul viso si apre una smorfia di sorriso nel ringraziare finalmente della fine di quel dolore troppo grande, perfino più grande di essere accoltellato, preso a calci e pugni e ridotto in fin di vita!
Basta guardare la sequenza (la trovate qui) per capire quanto Robin Williams sapesse di cosa stava parlando. Lo sguardo terrorizzato, la corsa folle, le urla strazianti. E quel “Grazie!” finale che mi ha sempre fatto rimanere di sasso! Meglio una coltellata di tutto questo dolore!
Robin Williams era un grandissimo attore ricordato da tutti perché faceva ridere e pensare. Io lo ricordo sempre iperattivo, logorroico con uno sguardo pieno di cose da dire, ma che erano sempre meno di quelle che realmente riusciva a far venir fuori, anche se magari stava facendo di tutto per strapparti una risata. I suoi film hanno sempre raccontato in qualche modo ciò che comunque lo faceva soffrire e ciò che lo faceva sentire bene. Come ad esempio il dolore nel dover vedere poco i figli dopo un divorzio, come in Mrs. Doubtfire. La cosa bella di Robin Williams è che ha sempre raccontato con molta sincerità queste cose e questo faceva di lui non un divo ma un uomo. Il suo cervello probabilmente andava troppo veloce, tanto da non permettere un minuto di quiete. Si dice che questo accade alle persone troppo geniali o troppo sensibili. Non lo so, io penso che ognuno di noi abbia i suoi demoni, che si abbia più o meno fortuna nel saperli affrontare, ma a volte il tuo cervello è troppo oltre e tu perdi il controllo di te stesso al punto tale da desiderare che questo dolore, che ti impedisce di gestire la sua vita, abbia fine. C’è quella voce che continua e continua e non sta mai zitta, che è lì che ti spinge a saltare nel buio, allora ci provi con l’alcol, i farmaci, droga, qualsiasi cosa che possa farla star zitta anche solo un minuto. Ma tanto lei torna e riesce ad avere il sopravvento. Per questo provo profondo rispetto per il suo gesto, che può essere condiviso o meno, ma che merita il silenzio e forse una riflessione sulla propria esistenza. Molti si sono chiesti come faceva un uomo di successo, a cui non mancava nulla, ad essere depresso e a suicidarsi. Pensiero banale per pensiero banale, si risponde a questi che il successo non è garanzia di nulla in questa vita! Dovrebbe essere lapalissiano, ma evidentemente ancora si pensa alla depressione come un male di gente ricca e annoiata. Fatevi un giro presso polizia, 118, pronto soccorsi e vedrete quanta gente comune ha fatto le stesse scelte di Robin Williams.
Altri si chiedono se non fosse stato lasciato solo, se i suoi parenti, moglie, figli non si fossero accorti di nulla. In realtà Robin Williams era attorniato da molto affetto, ma quando il demone dentro di te ti assale non riesci neanche a percepire l’affetto che ti circonda, ti isola, perché da solo è più facile farti saltare nel buio. Il cervello macina, rumina, ingigantisce, il dolore aumenta e nessuno sembra in grado di aiutarti perché il demone vuole così. E così riesci ad essere bravissimo nel nascondere questo dolore a tutti! David Letterman nel ricordare la sua amicizia di ben 38 anni con Robin Williams, si rammarica di non aver capito quanto soffrisse! (Potete vedere un suo splendido ricordo qui).
Una cosa che mi lascia l’amaro in bocca è la morbosità attorno un evento del genere, di persone che spinte da proprie mancanze cerebrali, dalla mediocrità della propria esistenza, pensa di avere i propri cinque minuti di celebrità insultando i figli tramite la facile via dei social. Gente povera, gente che forse ha talmente poco in quel cervello che non gira affatto e non riesce a produrre nulla di buono nella vita. Altra cosa brutta sono le pubblicazioni dei report della polizia e del medico legale su come, cosa, dove in che modo è stato trovato il corpo. Non so, mi sembra solo inutile pornografia macabra che sfrutta il dolore.
Di questi giorni è la notizia data dalla moglie che a Robin Williams erano stati diagnosticati i primi sintomi del Parkinson. Ancora una sfida troppo grande e stavolta il Cavaliere Rosso ha vinto. Io ho adorato quest’uomo che molti definiscono clown, termine riduttivo e semplicistico per definire un artista completo, immenso, vero, che probabilmente ancora poteva dare molto nella maturità. Per fortuna ha lasciato tanto di quella sua umanità fragile e meravigliosa con la quale ha creato momenti di poesia pura! Scommetto che c’è gente che darebbe un occhio per essere guardati, almeno una volta nella vita, con lo stesso sguardo che ha Robin Williams/Perry in questa scena, mentre ammira la sua amata che avanza tra la folla, Lydia, considerata da tutti compreso lei stessa, insignificante, come la cosa più bella del mondo:
Ma a me piace ricordare anche il suo lato pungente, scorretto con un piccolo filmato tratto dalla notte degli oscar del 2000, dove presenta una delle canzoni candidate per il film scorrettissimo “South Park”. Godetevi questo pezzo che per quanto piccolo è solo l’assaggio (in rete potrete trovare pezzi molto belli, incisivi e corrosivi!) di un grandioso talento che per fortuna possiamo ancora ammirare attraverso ciò che ha fatto!
Aggiornamento:
Ho appena visto queste stupende foto dal set di The Fisher King pubblicate da Jeff Bridges sul suo sito. Sono foto bellissime, commentate dallo stesso Bridges che raccontano il clima sul set e un Robin Williams che non si è mai risparmiato neanche quando le riprese diventano davvero pesanti! Potete trovarle qui .